Cosa succede se il coerede continua ad abitare in esclusiva l’immobile indiviso?

Cosa succede se il coerede continua ad abitare in esclusiva l’immobile indiviso?

Posted on: 10 Gennaio 2021 Category: News Comments: 0

Cosa succede se il coerede continua ad abitare in esclusiva l’immobile indiviso?

In tema di compossesso ed, in particolare, di compossesso ereditario, è consolidato in giurisprudenza il principio per il quale “il coerede che dopo la morte del de cuius sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus” (cfr. tra le altre Cass. n. 10734/2018).

L’istituto dell’interversione, dunque, non trova applicazione nei casi di compossesso, in quanto, in ipotesi di una pluralità di compossessori, perché uno di essi possa estendere il suo dominio in danno degli altri, non occorre un atto di interversione del possesso, ma la dimostrazione che abbia goduto del bene in maniera tale da escludere il concorrente godimento da parte degli altri titolari.

In particolare, l’usucapione dei beni ereditari tra soggetti compossessori che siano anche coeredi, è disciplinata dall’ art. 714 c.c., il quale dispone che si può chiedere la divisione delle sostanze ereditarie anche quando uno dei coeredi abbia goduto dei beni in maniera separata, purché non si sia verificata l’usucapione per effetto di un possesso esclusivo.

Laddove quindi il coerede si limita ad un godimento separato dei beni ereditari, il suo comportamento non è tale da escludere il possibile godimento da parte degli altri coeredi; conseguentemente anche qualora il coerede che pretende di aver usucapito i beni ereditari provi di aver avuto l’integrale possesso dei beni, ciò non è di per sé sufficiente a fondare un possesso valido ai fini dell’ usucapione, se non fornisce l’ ulteriore prova di aver posseduto in maniera tale da escludere in concreto gli altri coeredi.

A tale riguardo, a fronte dell’atto di uso o amministrazione compiuto dal singolo coerede ed avente ad oggetto un bene ereditario, sussiste la presunzione iuris tantum che egli agisca quale mandatario degli altri coeredi. Per vincere tale presunzione, e dimostrare che il coerede ha instaurato verso una certa res un possesso esclusivo, si deve fornire un quid pluris rispetto alla prova richiesta al terzo possessore non coerede.

Tale elemento ulteriore è solitamente individuato dalla giurisprudenza nella prova di elementi che rendano evidente, in maniera oggettiva ed inequivocabile, la volontà del coerede di iniziare a possedere in via esclusiva. Nel caso in cui la comunione ereditaria sorga tra soggetti legati da rapporti di familiarità, perché uno dei coeredi possa usucapire uno dei beni comuni è necessario provarne il suo possesso esclusivo, da rinvenire in un uso della res che non è frutto della tolleranza degli altri coeredi, sulla base dello spirito di solidarietà che caratterizza i rapporti tra famigliari, bensì conseguenza dell’averli l’interessato esclusi dal godimento del bene de quo.

In tale ipotesi, per il vero non infrequente, il punto nodale è quindi la verifica della volontà effettiva dei comproprietari al fine di determinare in concreto se il comproprietario che utilizzi un bene in esclusiva lo faccia per espressa volontà di escludere gli altri comproprietari o in virtù della tolleranza di questi ultimi.

Come sempre, in questi casi, a tutela delle reali intenzioni dei comproprietari, è sempre utile prevedere pattiziamente come dovrà regolarsi la comproprietà.

Avvocato Stefano Fedel