Il pagamento del canone di affitto “pro quota”

Il pagamento del canone di affitto “pro quota”

Posted on: 16 Febbraio 2024 Category: News Comments: 0

L’articolo 45 della “legge agraria”, la legge n. 203 del 1982, ha negato la possibilità di stipulare contratti di mezzadria, colonia parziaria e compartecipazione (consentendo solo, ipotesi marginali, quelli stagionali e di soccida) e ha ammesso per la concessione di fondi agricoli la possibilità di stipulare esclusivamente contratti di affitto agrario.

La corte di Cassazione ha chiarito che “ ..in tema di contratti agrari per distinguere l’affitto dal rapporto associativo occorre aver riguardo al rischio dell’impresa, il quale non può ridursi alle oscillazioni che può subire la produzione del fondo – giacché siffatto rischio può ricorrere anche nell’ipotesi di affitto con canone costituito da una quota dei rapporti – ma va invece riferito al lato passivo della gestione, all’incidenza di tutte le spese e delle perdite e, quindi, alla responsabilità della gestione stessa.” (Cassazione civile, sez. III, n. 5316 del 29.10.1985).

Molto chiaro quanto contenuto nella sentenza Cassazione civile, sez. III , 12.12.1994, n. 10601: “Mentre nella colonia parziaria e negli altri contratti associativi agrari concedente e colono si associano per la coltivazione del fondo con le finalità di ripartire i prodotti o il prezzo del ricavato della loro vendita, restando il colono assoggettato alla sorveglianza ed alla direzione del concedente, in ordine sia ai criteri di coltivazione che alla raccolta, ripartizione e vendita dei prodotti stessi, nell’affitto (e negli altri contratti agrari a questo assimilato) la qualità di imprenditore agricolo compete esclusivamente al conduttore il quale, oltre ad essere soggetto, in via esclusiva, al rischio dell’impresa, è, altresì, l’unico arbitro delle strategie aziendali e, di conseguenza, egli, nella più completa autonomia, sceglie le colture cui destinare il fondo e nella gestione di tali scelte non è soggetto ad alcun controllo tecnico da parte del proprietario (ad esempio, quanto alla data in cui procedere al raccolto), fermo esclusivamente l’obbligo di rispettare la destinazione originaria del fondo stesso.”

Dopo l’entrata in vigore della legge n. 203 si è posta una questione: è ora possibile convenire che il canone venga pagato con una quota del prodotto anziché in denaro? A questa domanda non è stato facile dare una risposta essendo, come visto, la ripartizione dei prodotti o del prezzo del ricavato della loro vendita un tratto tipico dei contratti associativi.

Si è affermato in giurisprudenza il principio secondo cui il corrispettivo a carico dell’affittuario nel contratto di affitto di fondo rustico, può consistere in cose diverse dal denaro ed essere rappresentato da utilità di varia natura, purché venga soddisfatto il duplice requisito della determinatezza (o, almeno, della determinabilità della sua entità economica alla stregua di elementi prestabiliti dalle parti, nello stesso atto di stipulazione del contratto) e della obbligatorietà, nel senso che la sua prestazione non può trovare la causa in ragioni (di convenienza, opportunità, liberalità, cortesia ecc.) diverse dalla forza cogente del rapporto contrattuale.

La più recente sentenza N. 2370 del 16.09.2008, in un caso in cui il corrispettivo dell’affitto era stato puntualmente previsto in una somma di danaro, ancorché parametrata a una percentuale degli utili della società affittuaria, ha chiarito che non vi sono disposizioni di legge che “…negano che le parti, nell’ambito della loro autonomia privata, possano – in sede di stipulazione di un contratto di affitto agrario – prevedere che il canone sia corrisposto, in parte, in misura fissa periodica, in parte in rapporto ai risultati dello sfruttamento agrario del terreno.”

La sentenza fa riferimento a un caso in cui il canone era stato previsto in parte in misura fissa e in parte in rapporto ai risultati della coltivazione. Ma alla luce di quanto chiarito più sopra in relazione alle differenze tra contratti associativi e affitto agrario (il rischio d’impresa, sorveglianza e direzione del concedente) e in relazione ai requisiti del canone (determinatezza o determinabilità e obbligatorietà) sembra che anche l’intero canone possa essere pattuito in una quota del prezzo del ricavato della vendita del prodotto. L’affittuario pagherà un canone che è obbligatorio e facilmente determinabile, e coltiverà in piena autonomia il fondo assumendosi il rischio d’impresa, non potendo secondo la Corte di Cassazione considerarsi rischio d’impresa partecipato dal proprietario l’oscillazione che può subire la produzione del fondo.

Avvocato Andrea Callegari